La tradizione umbra della fisarmonica e dell’organetto

Intervista a Barbara Bucci e Marco Baccarelli di Sonidumbra

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Marco Baccarelli (Ph Gianni Donati)Questa volta rimaniamo dalle parti delle nostro giornale, in Umbria: una regione ricca di tradizioni che ha sicuramente molto da raccontare, ma di cui, forse, si è sempre parlato troppo poco, confinando spesso il frutto di anni di ricerche tra le mura degli addetti ai lavori. È proprio qui che interviene il progetto Sonidumbra, con un complesso lavoro di studio e divulgazione che coinvolge saperi provenienti dagli ambiti più disparati (dai cantori tradizionali al mondo accademico) e sfocia in una musica di riproposta estremamente dinamica e di alto profilo, in cui troviamo un costante dialogo tra classicità e modernità e tra elementi intrinseci della musica tradizionale e composizioni originali. L’obiettivo rimane quello di risvegliare la coscienza e la conoscenza di un repertorio estremamente vasto e affascinante come quello della musica tradizionale umbra, attraverso l’uso sapiente dell’elemento vocale e strumentale. Ringrazio Barbara Bucci (voce) e Marco Baccarelli (fisarmonica) per avermi concesso questa intervista.

Prima di tutto, chi sono i Sonidumbra? Come nasce e come si evolve il vostro progetto? Raccontateci un po’ la vostra storia.

Sonidumbra nasce nel 1997 con lo scopo di far ascoltare la musica umbra semplicemente perché bella, profonda, carica di storia, risultato di una molteplicità di sincretismi culturali che hanno di fatto plasmato la nostra identità. L’incontro tra musicisti provenienti dalla musica classica e antica ha dato l’avvio a un progetto dove la cultura orale tradizionale, vista per lo più come prodotto delle classi subalterne, e quindi di nicchia, poteva essere considerata alla pari delle altre musiche. I nostri approfondimenti, le nostre competenze, gli studi etnomusicologici non bastarono all’inizio per comprendere l’ampiezza di quello che stavamo scoprendo. Ci siamo immersi in un mondo vivo, a noi quasi sconosciuto, partecipando in prima persona a gare di stornelli, vivendo le esperienze rituali (Maggio, Passione, Pasquarelle), creando situazioni per coinvolgere i cantori tradizionali ancora in attività che avevamo conosciuto nel nostro cammino. Queste persone sono state per noi i primi maestri che ci hanno insegnato la bellezza e il piacere di suonare certa musica dal vivo e insieme a loro, piuttosto che preoccuparci soltanto di registrarli e conservare la loro testimonianza. Ricordo anche quando abbiamo imparato, da studiosi specifici, le danze tradizionali come quadriglie, scotis, manfrine, ballindodici, per avere la consapevolezza di come doveva poi essere suonata la musica di accompagnamento da riproporre ai danzatori. Con il tempo, ci siamo occupati quasi esclusivamente di fare concerti in festival, teatri, luoghi di festa, sia in Umbria che in altre regioni, affiancando progetti di ricerca e valorizzazione del territorio. Oggi, la nostra proposta musicale viene sviluppata in modo molto dinamico e specifico: ogni concerto è differente da un altro, perché pensato, cucito, personalizzato per i luoghi dove ci esibiamo, approfondendo, quando e per quanto possibile, la storia e la cultura di quel luogo a cui dedichiamo brani composti per l’occasione. Nel tempo, hanno collaborato con Sonidumbra diversi musicisti, in maniera più o meno stabile, e comunque seguendo i vari progetti e programmi che sviluppavamo. Ultimamente, la collaborazione con un attore ci consente di sperimentare anche la nostra azione divulgativa, dove la musica diventa parte integrante di narrazioni e storie umbre.

Con la vostra musica vi fate “portatori” delle tradizioni dell’Umbria: una regione estremamente ricca da questo punto vista di cui però, come dicevate poc’anzi, sappiamo, forse, troppo poco. Cosa significa per voi far conoscere la tradizione musicale della vostra terra ai vostri corregionali e al di fuori?

Per noi far conoscere la tradizione della nostra regione significa permettere a molte persone, e non soltanto a pochi studiosi, di reimpossessarsi di una parte di storia e di cultura alla base delle proprie radici. La musica di tradizione orale umbra, o meglio quella funzionale nella civiltà rurale che abbiamo lasciato alle nostre spalle, ha una vastità di forme musicali che derivano anche dall’interazione di molte culture che hanno influenzato l’Umbria come territorio centrale e di passaggio. È sorprendente la vastità e la varietà del repertorio vocale tra ballate, storie, canti rituali, musiche extra liturgiche, rispetto alla musica strumentale e da ballo. Anche se in alcuni casi le tradizioni non si sono mai interrotte, magari con fenomeni di riprese legate ai soli canti rituali, tuttavia c’è stata una lenta e progressiva scomparsa del canto di tradizione in favore delle “nuove musiche”.

A partire dagli anni Cinquanta, sono state realizzate numerose campagne di registrazione (Carpitella/Seppilli, Lomax, fino ad arrivare ad Arcangeli, Paparelli, Palombini, Gambacurta), alle quali spesso non ha fatto seguito una doverosa divulgazione dei materiali sonori recuperati. Le registrazioni, in alcuni casi, sono rimaste confinate in ambienti accademici o, peggio, mantenute in forma privata e non condivisa con la comunità. Gli informatori, molto spesso, sono stati solamente registrati e non coinvolti in operazioni di valorizzazione dei loro saperi. Mentre ci occupavamo di come ri-cantare la musica umbra, abbiamo lavorato per coinvolgere insieme a noi i cantori, quasi sempre dimenticati, ridando loro il ruolo di protagonisti. Far conoscere la musica orale della nostra regione non è stato per noi quindi solo ricantare, con la nostra sensibilità, le vecchie musiche, ma ha rappresentato, e rappresenta ancora oggi, promuovere progetti dove collaborano tutti i soggetti della tradizione: dall’individuo che fornisce i saperi, ai gruppi spontanei, ai gruppi folk, ai centri antropologici fino al mondo accademico universitario.

C’è qualcosa nello specifico che caratterizza la musica popolare umbra?

La voce, e quindi i repertori legati al canto, sono gli elementi più forti e più incisivi nell’identità della musica tradizionale umbra. Alla vastità dei repertori e ai modelli di intonazione per voce sola, la nostra regione, come Roberto Leydi riportava nella sua antologia I canti popolari italiani [Mondadori, 1995 n.d.r.], era caratterizzata dalla permanenza di forme polivocali a due voci che sembrano discendere direttamente dalle prime forme polifoniche medievali. Questi canti, i vatocchi, rappresentano forse la specificità più grande, e la coppia Barbara Bucci – Gabriele Russo è forse l’unica, che si conosca, che ne riproponga numerose tra le varianti esistenti, da quelli alla mietitora, alla todina, passando per quelli pretolani fino alla tipologia denominata a malloppo. La nostra storia di musicisti provenienti dalla musica classica e antica ha determinato la fissazione di questi vatocchi come “oggetti sacri” imprescindibili nelle nostre performance e nei concerti.

Sonidumbra (Ph Gianni Donati)Qual è la vostra impronta sui brani tradizionali? Quanto rimane della tradizione e quanto, invece, rappresenta una rivisitazione in chiave più moderna?

Lo studio approfondito della musica di tradizione ci ha dato la possibilità di avere sotto mano melodie, modalità di improvvisazione, tradizioni strumentali, brani con modalità espressive e prassi esecutive di una bellezza sorprendente e inattesa. Il limite rigoroso che ci poniamo ogni volta che ci avviciniamo a un nuovo brano è quello di mantenerne riconoscibili i dettagli caratterizzanti. A volte, vengono messi in risalto alcuni caratteri testuali, ritmici, musicali, rispettando il fluire del testo e del canto, che è la base su cui girano le nostre parti musicali. Può capitare che operiamo cambiamenti nei testi, quando questi risultino mancanti di parti essenziali per la comprensione della storia, ma nelle nostre riproposte non viene mai variata la linea melodica. Nelle nostre esecuzioni, sempre diverse e maniacalmente “cucite” per ogni luogo e per ogni situazione, portiamo comunque la nostra impronta, la nostra sensibilità di musicisti, con vari background personali. La variazione più importante che abbiamo comunque apportato nella riproposizione di questa musica è stata l’utilizzo degli strumenti acustici di accompagnamento, quali la fisarmonica, l’organetto, la chitarra acustica, il mandolino, il violino, il mandoloncello, il basso, tamburelli e triangoli, certamente testimoniati nella storia della musica umbra in diverse epoche, ma che difficilmente avranno mai suonato insieme. La potremmo definire anche una “sincronizzazione” di epoche strumentali differenti, sempre nel rispetto della centralità della voce.

La vostra attività richiede certamente un complesso lavoro di studio e conoscenza. Come avviene, nel concreto, la ricerca dei repertori della tradizione e qual è il processo che porta da queste ricerche alle vostre esibizioni live o ai vostri dischi?

Fin dall’inizio, il nostro modo di fare ricerca è stato quello di immergerci fisicamente all’interno dei fenomeni musicali, interagendo con i musicisti tradizionali in situazioni reali: feste, rassegne, canti e rituali. Questa modalità nello scambio di saperi “tra addetti ai lavori”, tra stornellatori, organettisti, poeti di ottave e comunque tra persone con competenze simili, ci ha permesso di esplorare quello che ci siamo immaginati essere il mondo del tradizionale, da un posto privilegiato, assaporando le dinamiche dell’azione reale in funzione, suonando con gli stessi esecutori che ci trasmettevano i loro segreti. Da queste situazioni “vive” abbiamo tratto alcuni caratteri generali, stili, prassi esecutive, che poi riportiamo in tutti i brani da riproporre all’ascolto. La scelta del materiale su cui lavorare per le nostre rielaborazioni avviene comunque avendo sottomano non solo i nostri documenti, ma anche tutte le storiche raccolte, pubblicate e non, che prendono in esame il territorio regionale nella sua interezza.

Quindi nel vostro repertorio troviamo anche inediti che tengono comunque conto di prassi e caratteristiche proprie della musica tradizionale?

Ovviamente sì. La tradizione è per noi vivere il presente con la competenza e la consapevolezza di tramandare e continuare a cantare nelle modalità apprese, ma adatte soprattutto a un ascolto moderno. La nostra totale immersione nel mondo della trasmissione orale, con i suoi trascorsi, discendenze, interazioni con il mondo antico, ci ha permesso di acquisire un linguaggio, un lessico e una prassi esecutiva che abbiamo fatto nostri. Il modo di usare la voce, la possibilità di scegliere e usare gli infiniti modelli, esempi e tipicità dei repertori tradizionali, hanno determinato l’acquisizione di un vero e proprio linguaggio, comunque personale, che utilizziamo per scrivere anche nuovi brani, dove emerge anche la nostra creatività. Che siano riferimenti testuali, parole nonsense tratte dallo Scantafavole, oppure particolari modi di usare l’organetto o la fisarmonica desunti dalle musiche da ballo, i nostri brani originali sono pieni e farciti di elementi tratti dalla tradizione, come si farebbe per realizzare una nuova ricetta utilizzando molti ingredienti presi nelle dispense delle antiche case coloniche. Nella scaletta dei nostri concerti, i brani di composizione si alternano sempre alle esecuzioni polivocali tradizionali, quasi a suggerire un dialogo tra due mondi che si guardano, riconoscendosi. Per noi, fare musica tradizionale non vuol dire celebrare il passato, ma significa rapportarsi con il mondo di oggi in maniera viva, “come una fiamma che alimenta il presente e non come ceneri da adorare”, per dirla come Gustav Mahler.

Fisarmonica e organetto sono due strumenti che sappiamo bene essere fondamentali nella tradizione popolare. Marco, che cosa ti ha portato a intraprendere lo studio di questi strumenti, prima, e a mettere la tua maestria a disposizione di questo progetto, poi?

La partecipazione fortuita a una manifestazione tradizionale della mia città, il “Cantamaggio ternano”, dove c’erano dei fisarmonicisti, è stato l’inizio della mia esperienza musicale. Ai miei occhi di bambino di sette anni, quello strumento pieno di bottoni appariva strano e affascinante. Ho iniziato uno studio regolare partecipando e vincendo molti concorsi di fisarmonica che negli anni Ottanta si tenevano in tutta la penisola, svolgendo poi attività concertistica con la Fisorchestra Luciano Fancelli di Terni. Mi sono poi diplomato in flauto traverso al conservatorio, perché in quegli anni non era ancora attivo il corso di fisarmonica. Pur svolgendo la mia principale attività musicale come flautista di musica classica, sperimentavo contemporaneamente la fisarmonica come strumento da utilizzare in vari generi musicali (dalla musica leggera al cantautorato). Gli studi di etnomusicologia mi hanno poi spinto alla pratica dell’organetto nella musica di tradizione: se il canto appariva l’elemento fondamentale, l’utilizzo della fisarmonica e dell’organetto erano determinanti nella tradizione umbra e il riutilizzo della fisarmonica è diventato normale. Il binomio voce-fisarmonica è pertanto il nucleo base della nostra riproposta musicale e, nel sound di Sonidumbra, ho anche il piacere e la facilità di condividerlo con la cantante, Barbara, che è mia moglie. Il nostro modo di presentarci nei concerti con le modalità tipiche dei concerti classici (senza costume folkloristico e solo in situazioni di ascolto), si è sempre sposato con la mia personale esigenza di “nobilitare” la fisarmonica alla pari degli altri strumenti, togliendole l’ombra di “strumento da liscio” che per molti anni l’ha caratterizzata. La versatilità della fisarmonica mi permette di utilizzarla in Sonidumbra come uno strumento quasi senza tempo, che accompagna brani caratterizzati da melodie modali antiche, fino a quelle più moderne.

Barbara Bucci (Ph Gianni Donati)Nel 2013, avete pubblicato i vostri due album Festa umbra. Canti e balli della tradizione e Filomè. Ballate, storie e stornelli umbri. Quali sono i vostri progetti futuri?

In mancanza di fonti tradizionali facilmente reperibili, ogni volta che si pubblica un CD di riproposta si corre il rischio di assumere la funzione di “fonte storica”, da cui altri potrebbero trarre sbagliati presupposti di partenza. Questa consapevolezza ci ha fatto sentire una responsabilità che, per certi aspetti, ha frenato il nostro lavoro discografico nel corso del tempo. Cronologicamente, va ricordato che Festa umbra è stato il primo CD, registrato nel 2009 come nostra prima esperienza, ma mai pubblicato per la scomparsa di colui che ci aveva registrato, perdendo di fatto l’ultima versione del lavoro mixato. Lo abbiamo pubblicato comunque nel 2013 (anche con la versione rimasta e praticamente non definitiva) insieme alla nuova produzione, perché ci siamo resi conto che senza quella registrazione del 2009 sarebbe mancata la testimonianza del nostro primo modo di fare musica umbra. Quindi, per dare un significato al nostro percorso nel tempo, è stato editato insieme a Filomè. Ballate, storie e stornelli umbri, che aveva un nuovo sound e idea musicale. Oltre a questi CD, abbiamo partecipato anche ad altri progetti discografici in varie compilation, come Tribù italiche Umbria (2004), allegato alla rivista nazionale “World Music Magazine” e Aie d’Italia (2009), compilation prodotta e presentata dal MEI (Meeting Etichette Indipendenti) di Faenza. Nel 2024, abbiamo partecipato alla pubblicazione ‘Na vorda se cantava cuscì, canti rurali e devozionali di Spello curando il recupero di alcuni canti inediti con un particolare lavoro di ricostruzione melodica, attraverso la testimonianza delle sole trascrizioni, realizzate negli anni Settanta, senza le registrazioni audio. Dopo il periodo di inattività e riorganizzazione formale delle nostre attività dovuto al Covid, oggi ci sentiamo pronti per ripartire anche con i lavori discografici rimasti nel cassetto e pronti per essere registrati.

Lasciateci un messaggio per i lettori, se vi va.

Invitiamo i lettori della rivista “Strumenti&Musica” (di cui conservo ancora tutte le stampe degli anni Ottanta) a partecipare ai nostri concerti perché solo con la presenza e l’interazione con il pubblico si comprende come questa musica sia viva e risvegli nelle persone un qualcosa di indefinito che è sedimentato dentro ognuno di noi, anche inconsapevolmente. Avere la fortuna di lavorare con gli elementi identitari di una cultura è qualcosa che ci esalta e che ci permette di considerare la musica umbra al pari di altre tradizioni e altri generi. Concludiamo dicendo che alcuni repertori sono semplicemente “belli” da ascoltare e da vivere, e ci auguriamo che la musica umbra non sia solo esercizio di memoria, ma prenda sempre maggiore forza per continuare il suo lungo cammino.

 

DISCOGRAFIA

Festa umbra. Canti e balli della tradizione (autoprodotto, 2013)

Filomè. Ballate, storie e stornelli umbri (autoprodotto, 2013)

 

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